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al testo di Pietro Menditto
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La poesia è magnifica. Si regge da sola, corolla senza gambo, sospesi cerchi concentrici con al centro un’essenza ineffabile catturata in un momento di rara grazia. Le parole venute prima al labbro e poi alla penna come un respiro puro e adorno di un’aria di luna che si consumava nello spazio siderale in una sera di un inverno di un anno in cui procedevo prossimo a un nirvana. Gli a capo sono decisi con la cura di chi da maestro pota un bonsai millenario. Le parole fluiscono l’una nell’altra e sembrano essere state create per questa destinazione, per la felicità di questo approdo. A volte, anzi sempre, sono così le rose: foglie che stringono foglie e si aprono guardando nello stesso punto magico del cielo. Sono così talora i giardini, una pausa nel mondo, celeste che si fa terrestre perché ciò che sta sopra sappiamo è come ciò che sotto si strugge nel suo desiderio. Non c’è che dire, la poesia è memorabile, peccato che non mi sia venuta, che non abbia potuto fissarla sul foglio, donartela come acqua sorgiva nel cavo delle mani che non l’hanno trattenuta.
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